In principio erano dodici cilindri davanti al guidatore, poi dopo 20 anni arrivò un sei cilindri in posizione centrale.
Secondo i racconti di molti il primo a proporre un propulsore con sei cilindri fu proprio il figlio del Drake: Dino, che si era laureato in ingegneria, e che aveva ereditato la passione per i motori paterna. Il primo utilizzo fu sulla Dino 156 che partecipò al campionato di F2.
La scelta fu dettata dall’idea di produrre una vettura che potesse contrastare sul mercato alcuni modelli sportivi che stavano diventando di moda, spinti da piccoli motori grintosi e quindi meno cari e meno assetati di carburante, come ad esempio la Porsche 911.
Vittorio Jano pensò di dimezzare il 12 cilindri fin ora utilizzato per sfruttarne affidabilità e potenza. La realizzazione non fu comunque semplice, perché per problemi tecnici si decise di allargare l’angolo delle bancate.
Dopo aver presentato diversi prototipi in vari saloni per sondare il giudizio del pubblico, venne presentata la 206 GT. Tutto era rivoluzionario in quest’auto: il motore era un 2 litri, sei cilindri a V di 65 gradi, 195 cavalli e 34,1 Kgm di coppia a 5500 giri/min ed era montato in posizione centrale. La carrozzeria disegnata da Pininfarina era caratterizzata da curve morbide e sinuose rigonfie sui passaruota e due meravigliose prese d’aria solcavano le fiancate. Il corpo era molto compatto. Ma la rivoluzione più grande era la totale assenza del nome e dei loghi Ferrari, nemmeno un cavallino, l’unico marchio che compariva era “Dino”. Qualcuno sostenne che oltre a voler onorare la memoria del figlio di Enzo Ferrari, scomparso in giovane età dopo una lunga malattia, probabilmente a Maranello vollero mantenere un po’ le distanze da quella vettura così diversa da tutta la produzione degli ultimi venti anni: come avrebbe reagito la clientela di fronte ad una novità così grande? L’ultima berlinetta uscita dai cancelli di Maranello con meno di 200 cavalli era la 212 Inter del 1951.
Nel 1970 arrivò lo storico accordo con la FIAT, e una delle prime conseguenze sulla produzione fu che il sei cilindri venne utilizzato per equipaggiare una vettura della casa di Torino. Le versioni programmate furono due, una coupé e una spider disegnate rispettivamente da Bertone e da Pininfarina. Sempre durante la gestione FIAT si decise di produrre il sei cilindri in una versione potenziata, portando la cilindrata a 2,4 litri e la potenza a 195 cv, montato sia sulle vetture marchiate FIAT, sia sulla Dino, dando vita alla 246 GT.
La Dino che uscì da Maranello fu bistrattata per anni dai collezionisti, probabilmente più per la mancanza del cavallino sul cofano che per le effettive prestazioni dell’auto, non era raro trovare delle Dino con cavallini e scudetti posticci attaccati dai proprietari.
Ultimamente però questo modello è tornato alla ribalta aumentando di valore, la bassa cilindrata ne assicurerebbe costi di esercizio e gestione relativamente bassi, e poi le quasi 4000 unità vendute ne assicurano anche una difficile reperibilità aumentandone così il fascino tra gli amatori.
Nel 1973 la Dino uscì di produzione e da allora più nessuna vettura è uscita dalle linee di produzione di Maranello spinta da un motore a sei cilindri… almeno fino al 2021!